Tra le ripercussioni che si sono originate in Italia dal contagio da Covid-19, ve ne è una di primaria rilevanza, che, però, sin dagli inizi del lockdown, media e opinione pubblica non stanno affrontando.
Nessuno, infatti, si sta occupando del trattamento che la politica del Bel Paese sta riservando alla Giustizia, trattata alla stregua di un qualunque negozio al dettaglio, da chiudere in attesa di tempi migliori.
All’inizio fu il D.L. n. 11/2020 che, redatto in tutta fretta, ha originato tali e tanti dubbi interpretativi da costringere il Ministero della Giustizia a estendere una nota esplicativa a spiegazione delle arcane parole ivi trascritte.
Con l’adozione dell’art. 1, comma 1, D.L. n. 11/2020, in specie, è stato previsto che tutte le udienze che si sarebbero dovute tenere nel periodo 9.3.2020 – 22.3.2020, fossero rinviate a data successiva, eccezion fatta per taluni procedimenti, indifferibili in ordine alla materia trattata.
Ha, poi, statuito il comma 2 di questo precetto normativo che, a decorrere dal 9.3.2020, fossero “sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1”.
La lettera della superiore norma, come detto, ha comportato un oggettivo dubbio interpretativo, atteso che la frase ivi vergata “qualsiasi atto dei procedimenti indicati al comma 1” è apparsa ai più che volesse significare che fossero sospesi i termini processuali solo ed esclusivamente inerenti ai procedimenti che si sarebbero dovuti trattare tra il 9.3.2020 e il 22.3.2020.
Dovette, dunque e come precisato in antecedenza, intervenire il competente Ministero per precisare che dovessero ritenersi sospesi i termini di tutte le procedure pendenti al 9.3.2020.
Come se, poi, non fosse bastata la criptica redazione del D.L. n. 11/2020, il Ministro della Giustizia, esimio ed eccellente Collega, nel presentare tale intervento legislativo, rincarò la dose, affermando che la sospensione giudiziale di sole due settimane si fosse resa necessaria per permettere agli Uffici giudiziari di approntare le occorrenti misure per procedere alla ripresa dell’attività processuale dal 23. 3.2020.
Il pregiatissimo Collega, forse spinto anche dalle rassicurazioni dell’altro Legale insediatosi a capo del Governo, commise, però, spergiuro, perché nulla di quanto promesso è stato, poi, organizzato.
Si è preferito, infatti, inserire nel D.L. n. 18/2020, l’art. 83, con il quale l’Esecutivo ha sancito che l’attività giudiziale dovesse ritenersi sospesa dal 9.3.2020 al 15.4.2020, confermando che potessero continuare a trattarsi quei pochi giudizi irrinviabili, poiché afferenti alle misure alimentari, ai diritti inviolabili della persona e alla amministrazione, tutela e curatela dei cittadini.
Ancora. Con la emanazione del D.L. n. 18/2020, il Governo italico, che già da tempo aveva iniziato a utilizzare gli strumenti legislativi in modo disinvolto, senza prestare molta attenzione alle prescrizioni costituzionali, ha colto l’occasione per lì inserire anche una precisazione interpretativa, nel senso in precedenza esposto, del D.L. n. 11/2020 e, altresì, ha regolamentato la fase 2 della Giustizia italiana in tempo di pandemia, prevedendo che, per il periodo 16.4.2020 – 30.6.2020, ogni Ufficio giudiziario predisponesse una propria regolamentazione, affinchè le udienze potessero essere trattate in forma scritta, mediante l’uso del processo civile telematico ovvero in videoconferenza, del pari precettando che i giudizi che non potessero essere svolti in tali modalità, fossero rinviati a partire da Luglio 2020.
In sostanza, dunque, Palazzo Chigi, di certo – per carità – alle prese con una emergenza imprevedibile e globale, ha optato per trattare la Giustizia come settore sacrificabile, sospendendola.
Questo ha significato che gli Uffici del Giudice di Pace siano stati materialmente chiusi perché, tra l’altro, non telematizzati e che quelli restanti abbiano continuato a operare ai minimi regimi consentiti, con la quasi totalità dei cancellieri confinati a casa.
Ad Aprile, poi, l’Italia ha compreso che il termine del 15.4.2020 non potesse significare la riapertura del Paese e, dunque, il Governo ha emanato il D.L. n. 23/2020, che, in materia processuale, ha comportato la postposizione del termine della sospensione giudiziale al giorno 11.5.2020, in uno confermando che la fase 2 in materia giudiziaria si concludesse il 30.6.2020.
E’ in questo periodo che gli Avvocati italiani hanno iniziato a ricevere copiose comunicazioni di cancelleria, di cui poche hanno indicato che, per le udienze a venire, si sarebbe proceduto in via telematica, mediante il deposito di note scritte ovvero per videoconferenza, mentre molte, di contro, hanno fissato i rinvii delle udienze di Maggio e Giugno 2020 all’Autunno o, nella maggior parte dei casi, al 2021 inoltrato.
E’, infine, storia recente la pubblicazione, in gran segreto e senza la usuale grancassa mediatica approntata dalla Presidenza del Consiglio, del D.L. n. 28/2020 che ha prorogato la fase 2 della Giustizia italica al 31.7.2020, a ciò conseguendo che i giudizi riprenderanno a svolgersi regolarmente solo a partire dall’1.9.2020, atteso che dal giorno 1.8.2020 insorgerà la c.d. sospensione feriale.
Di più. Il D.L. n. 28/2020 ha imposto ai Magistrati, ove dovessero trattare le cause in videoconferenza, di recarsi nei propri Uffici, precetto che non è stato assolutamente gradito dai Giudici, che con una nota, hanno contestato tale imposizione, sicché, probabilmente, ben poche cause saranno affrontate in tale modalità.
Quanto descritto ai precedenti paragrafi, a umile assunto di chi scrive, è del tutto inaccettabile.
Inaccettabile è, in primis, che uno Stato non si interessi alla Giustizia e preferisca chiuderla a chiave e, per non sbagliare, a serrarla con doppio catenaccio, rinviandone la riapertura a sei mesi di distanza.
Inaccettabile è che il nostro Esecutivo, in più di due mesi, non abbia saputo approntare un sistema processuale alternativo alla udienza a cui presenziare fisicamente, senza investire ulteriori sforzi nel processo telematico e, anzi, evitando che gli Uffici del Giudice di Pace potessero accedere a esso.
Inaccettabile è vivere in uno Stato, che è la culla del diritto, ma che, dopo che per decenni ha pianto un sistema processuale lento, ora preferisce addirittura sospenderlo per un semestre.
Inaccettabile è che chi siede tra i banchi del Governo non comprenda che il blocco giudiziario comprimerà, forse irrimediabilmente, molti diritti dei cittadini italiani, a cui per esempio, non sarà concesso per lunghi mesi o, financo, per più di un anno, di soddisfare le proprie ragioni creditorie, sì acuendo la crisi di liquidità che tutti sta colpendo.
Inaccettabile è che il sistema Giustizia si regga su due poli, quali i Magistrati e i Cancellieri, loro ausiliari, da una parte e gli Avvocati dall’altra, ma che tale sistema di garanzia non sia assolutamente equilibrato, poichè i primi continueranno a ricevere la propria retribuzione in tutto il periodo della serrata giudiziale, mentre i secondi sono oramai in crisi patrimoniale da due mesi e sempre più cadranno nel baratro di fatturati inconsistenti.
Inaccettabile è che il Governo, che ha in due Avvocati elementi di spicco, non comprenda che fermare la Giustizia per sei mesi impedirà alla rinascita del Paese di procedere celermente.
Inaccettabile è che chi siede a Palazzo Chigi e che, il giorno in cui ha assunto la carica di Premier, ha proclamato di voler indossare le vesti di Avvocato di tutti gli italiani, non comprenda che tutto questo sia inaccettabile.
L’uomo che ha raggiunto la perfezione è il più nobile degli animali. Separato dalla legge e dalla giustizia, è il peggiore. (Aristotele)
Avv. Giuseppe Lorè