A seguito dell’entrata in vigore del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 e successiva legge di conversione n. 162/2014, sono aumentati gli strumenti per presentare un’istanza di separazione consensuale o di divorzio congiunto.
Già prima delle modifiche apportate dal predetto intervento normativo, la legge prevedeva la possibilità per i coniugi che avessero intenzione di presentare un ricorso per separazione consensuale, di rivolgersi al Tribunale con l’assistenza di un legale (anche un solo legale per entrambi) o anche autonomamente senza l’ausilio di un avvocato, eventualità non previste però in caso di divorzio congiunto.
Il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132 (recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile, convertito con modificazioni con la legge n. 162/2014) ha introdotto due procedure di cui possono avvalersi i coniugi.
Il primo strumento, previsto dall’art. 12 della l. 162/2014, rappresenta un procedura facile e veloce che non richiede necessariamente l’intervento di un avvocato, ovvero viene consentito ai coniugi di recarsi direttamente dinanzi all’ufficiale di stato civile del comune di residenza (di entrambi, di uno dei due o il comune presso cui è stato iscritto o trascritto il matrimonio), presentando un accordo di separazione personale, di divorzio (scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio), o di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio, che avrà i medesimi effetti di quello raggiunto dinanzi ad un Giudice.
Detta procedura non trova applicazione in presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti e l’accordo non può contenere patti di trasferimento patrimoniale (il Ministero ha chiarito che sono vietati soltanto quei patti “produttivi di effetti traslativi di diritti reali”).
La legge di conversione ha introdotto un correttivo alla precedente versione dell’articolo 12, prevedendo una sorta di filtro, che altrimenti sarebbe interamente mancato, disponendo che “Nei soli casi di separazione personale, ovvero di cessazione degli effetti civili del matrimonio o di scioglimento del matrimonio secondo condizioni concordate, l’ufficiale dello stato civile, quando riceve le dichiarazioni dei coniugi, li invita a comparire di fronte a sé non prima di trenta giorni dalla ricezione per la conferma dell’accordo anche ai fini degli adempimenti di cui al comma 5. La mancata comparizione equivale a mancata conferma dell’accordo”.
Il secondo strumento introdotto, è quello della negoziazione assistita con cui le parti, ognuno necessariamente con il proprio avvocato (la legge di conversione parla di almeno un avvocato per parte), possono raggiungere una soluzione consensuale di separazione personale, di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio (nei casi di cui all’art. 3, 1° comma, n. 2, lett. b) della l. n. 898/1970), nonché di modifica delle condizioni di separazione o divorzio, senza dover ricorrere al Giudice.
Anche detto procedimento si è rivelato particolarmente veloce, prevedendo il deposito dell’accordo e della convenzione di negoziazione assistita presso la Procura della Repubblica del Tribunale territorialmente competente che, nel giro di pochi giorni, appone il proprio visto sull’accordo firmato dalle parti ed autenticato dai difensori.
L’art. 6 della legge di conversione ha previsto che “in mancanza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita è trasmesso al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente il quale, quando non ravvisa irregolarità, comunica agli avvocati il nullaosta per gli adempimenti ai sensi del comma 3. In presenza di figli minori, di figli maggiorenni incapaci o portatori di handicap grave ovvero economicamente non autosufficienti, l’accordo raggiunto a seguito di convenzione di negoziazione assistita deve essere trasmesso entro il termine di dieci giorni al procuratore della Repubblica presso il tribunale competente, il quale, quando ritiene che l’accordo risponde all’interesse dei figli, lo autorizza”.
Entro 10 giorni dall’apposizione del nullaosta/autorizzazione da parte del PM gli avvocati dovranno trasmettere l’accordo concluso all’ufficiale dello stato civile del Comune in cui il matrimonio fu iscritto o trascritto.
Dalla data del nullaosta o dell’autorizzazione, l’accordo produce i medesimi effetti dei provvedimenti giurisdizionali, tra cui, il decorso del termine per la proposizione della domanda di divorzio (ridotto, a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 55/2015, a 6 mesi in caso di separazione consensuale e ad 1 anno in caso di separazione giudiziale).
Alla luce dei molteplici strumenti che i coniugi attualmente hanno per separarsi o divorziare, considerata in particolare la possibilità di rivolgersi autonomamente all’ufficiale di stato civile o al Tribunale (solo in caso di separazione) senza l’assistenza del difensore, la domanda che il privato si potrà porre è: perché rivolgersi ad un avvocato?
È evidente, infatti, che le procedure “fai da te” siano molto convenienti da un punto di vista economico e sicuramente hanno ragion d’essere in mancanza di figli e in assenza di disposizioni di carattere economico, ma negli altri casi, quale tutela per il coniuge debole?
Cosa accade, infatti, in tutte quelle ipotesi in cui un coniuge si trova in una posizione di debolezza psicologica ed economica nei confronti dell’altro, condizione che lo potrebbe portare ad accettare qualsiasi accordo benché economicamente sfavorevole per sé?
L’ausilio di un professionista in tutti questi casi risulta fondamentale per illustrare ai coniugi le implicazioni giuridiche e le conseguenze materiali dei propri accordi, soprattutto in caso di separazione, momento fondamentale della frattura matrimoniale, in cui molto spesso le parti tendono a raggiungere accordi svantaggiosi solo per chiudere un capitolo particolarmente doloroso della propria vita.
Si pensi, infatti, che neanche il Giudice in sede di udienza presidenziale può concretamente valutare le reali condizioni economiche delle parti, limitandosi a valutare la congruità dell’accordo presentato in base a quanto i coniugi stessi dichiarano in udienza.
Inoltre, quanto stabilito in sede di separazione, risulta fondamentale per tutto il prosieguo delle eventuali successive controversie matrimoniali, ovvero in caso di modifica delle condizioni di separazione od in sede di divorzio. Infatti, gli accordi di separazione (nonché le statuizioni della sentenza, in caso di separazione giudiziale) costituiscono la base da cui il Giudice forma il suo convincimento in ordine alla volontà ed alla situazione economica dei coniugi, in particolare nell’ambito dell’emissione dei provvedimenti presidenziali, in cui la cognizione del giudice è solo sommaria.
La centralità dell’accordo di separazione è ancor più marcata oggi rispetto al passato dal momento che, a seguito dell’introduzione del cd. divorzio breve, è possibile presentare il ricorso per la cessazione degli effetti civili o lo scioglimento del matrimonio a distanza di soli 6 mesi (in caso di separazione consensuale) od 1 anno (in caso di separazione giudiziale).
L’Ordinamento, infatti, non prende in considerazione un ripensamento od un pentimento su quanto concordato in sede di separazione e, qualora uno dei coniugi voglia modificare qualche aspetto rivelatosi eccessivamente svantaggioso, non ha modo di correggere quanto pattuito, salvo nel caso in cui riesca a dimostrare una modifica, non sempre agevole, ad esempio, delle proprie condizioni economiche o di quelle dell’altro coniuge che deve essere sopravvenuta rispetto al momento della separazione.
Avv. Maria Elena Tomassoni